La pandemia di COVID-19 degli ultimi due anni ha impattato in maniera radicale su molte pratiche e processi sia lato seller sia lato buyer nei mercati B2B (business to business). Molti dei processi già in atto in questi mercati sono stati accelerati in maniera tangibile.
Durante la pandemia il 90% delle vendite è avvenuto da remoto. E’ vero che i lockdown dei vari paesi e le difficoltà negli spostamenti non lasciavano alternative ma è improbabile che dopo due anni in cui abbiamo imparato a districarci tra chat, video chiamate, cloud, fiere virtuali e social network torneremo a comportarci come prima.
Per molti aspetti è necessario accettare che il mondo è cambiato. McKinsey[1] sta conducendo una ricerca che coinvolge più di 3.600 decision maker B2B di aziende di varie grandezze in: USA, Germania, Francia, Italia, UK, Spagna, Cina, India, Giappone, Corea e Brasile. Al netto di differenze culturali tra paesi che ovviamente esistono, i risultati per il 2020 ci dicono che a livello globale le aziende considerano le interazioni digitali in maniera sempre più importante. Le interazioni faccia a faccia non scompariranno ma non possono essere considerate sufficienti e, in molti casi, nemmeno decisive.
La dimestichezza con gli strumenti ha aumentato la fiducia, nei mercati B2B assistiamo ad una maggiore spesa sui canali e-commerce anche per importi consistenti, ad un aumento dell’uso di canali digitali in tutte le fasi del processo di acquisto: ricerca del prodotto, valutazione, ordine e riordino. Un elemento chiave messo in evidenza dalla ricerca è la propensione durante tutto il processo per modalità self-service; gli acquirenti vogliono poter ricercare prodotti e informazioni e procedere all’acquisto in maniera autonoma. Durante il processo valutano in maniera fortemente positiva la possibilità di ricevere consigli e di entrare in contatto con un esperto quando lo ritengono opportuno, on demand, attraverso strumenti dedicati come le chat e le video chiamate.
In uno scenario di questo tipo riuscire a fornire informazioni e far apprezzare i prodotti a distanza diventa una sfida cui è necessario saper rispondere, l’esplosione di video e l’uso della realtà aumentata sono figli di questa esigenza. Secondo McKinsey i fornitori che offrono una esperienza digitale ricca hanno il doppio di possibilità di essere scelti come fornitori primari rispetto ai loro competitor che offrono una scarsa esperienza digitale.
La barra delle aspettative si sta alzando anche nel mercato B2B e ad una velocità mai vista prima. Per le aziende significa affrontare nuove sfide come il dotarsi di nuovi siti web e app per adeguare la veicolazione delle informazioni e la fruizione dei contenuti alle aspettative degli acquirenti.
Bisognerà saper gestire un nuovo tipo di relazione con i clienti che sarà sempre più mediata e farlo nel rispetto delle normative sulla privacy, una sfida certo, ma anche un’ opportunità. Basti pensare ad alcuni scenari che si aprono: ottimizzazione dei processi grazie agli strumenti digitali e raccolta di preziosi dati su abitudini e preferenze dei clienti, solo per citare i più ovvi.
Un elemento chiave sarà, a mio avviso, la capacità di riuscire a far collaborare reparti e figure diverse, la tecnologia pervaderà qualsiasi ambito. Chi si occupa di comunicazione e chi si occupa di vendita dovrà imparare a convivere e coesistere. Si pensi ad esempio a LinkedIn, un social dove ormai non è più chiaro dove finisca la figura del social media manager e inizi la figura del commerciale.
La Pandemia ha tracciato un solco e la via per i mercati B2B sembra segnata.
2. L’importanza della sostenibilità dell’imballo
Un imballo non è un oggetto inanimato, ma qualcosa di “vivo”, che produce più di una domanda su se stesso: si ha tuttavia l’impressione che le aziende siano meno inclini a porsi tali interrogativi rispetto al cliente che riceve il prodotto impacchettato. Tra i set di questioni che stanno emergendo con maggior forza, anche sotto la spinta di movimenti d’opinione esterni al mondo del commercio, e spesso critici nei suoi confronti, ci sono quelle relative alla sostenibilità dell’imballo. Uno dei motori di questa tendenza è rappresentato dalla legislazione sull’ambiente, che, in rapida evoluzione, impone di rivisitare singoli fattori, criteri di giudizio e, talvolta, visioni generali. Dai risultati di questa indagine potrebbe nascere lo spunto per creare nuove competenze, incentrate sulla capacità di contribuire a un “marketing ecologico”.
Come si possono allora tradurre queste nuove variabili in elementi funzionali a un marketing sostenibile?